“Derby day the scores were level,
then the Goat was fed by neville,
silly boy should know for sure,
feed the Goat and he will score!!!”
“Il giorno del derby il risultato era in equilibrio,
quando il Goat fu preso in marcatura da Neville,
che sprovveduto! Doveva aspettarselo,
fai mangiare la Capra (= The Goat) e lui segnerà!!!!”
Sono a cena da amici Citizens nel capoluogo torinese e, all’improvviso, uno di loro mi mostra una maglia celebrativa dei Reddishblues con su scritto Feed The Goat. Suo figlio, un peperino biondo di 10 anni, salta su con una domanda: che vuol dire ‘sta scritta qui? Provo ad accontentarlo.
Stagione 2002/03. Il City, appena reduce da una doppia promozione dalla Second Division alla Premier League, era allenato da King Kev, alias Kevin Keegan. Non fu un’annata particolarmente esaltante: l’ex grande stella del Liverpool e della nazionale inglese, da manager, dimostrò di non saper certamente fare di conto investendo un mucchio di sterline su giocatori troppo in là con gli anni, demotivati, oppure scommettendo su autentiche meteore del pallone. Quell’anno, però, in attacco i nostri tifosi ebbero la fortuna di ammirare la coppia meglio assortita di coloured della nostra storia.
Nicholas Anelka, uno spocchioso parigino di Versailles, non fu certamente un idolo del North Stand. Il motivo? Malgrado i 45 gol segnati (alcuni meravigliosi) nelle sue 103 presenze con i nostri colori, furono troppe le prestazioni anonime se non addirittura indecenti, se rapportate al costo del suo cartellino. Ebbe però quella stagione una spalla che, partito come semplice riserva perché ritenuto da Keegan inadatto alla Premier League, finì per essere il trascinatore di quel City.
Leonardo Shaun Goater, a 33 anni, poteva dare l’impressione di un atleta che avesse ormai imboccato il viale del tramonto. Cresciuto in una poverissima comunità di pescatori dell’isola di Bermuda, colonia britannica, era emigrato nel 1988 a Manchester, ma nella parte sbagliata. Infatti i nostri vicini di periferia, alle prese con un noiosissimo tour promozionale da quelle parti, si erano trovati alle prese con un’amichevole contro una squadra locale saltata in extremis per motivi meteorologici. Si dice che un conto d’albergo ritenuto salatissimo fece saltare i nervi a quella gran pasta d’uomo che già allora doveva essere Sir Alec Ferguson. Conto non pagato e addebitato, udite udite, agli organizzatori del tour che, per non turbare i preziosi equilibri finanziari su cui ancora oggi si regge il discusso board dei rags, proposero di chiudere il contenzioso con una controfferta di pari valore. Il giovane e promettente Goater venne offerto gratis allo sdegnato scozzese che, passato il malumore, accettò. Appena giunto all’Old Trafford, il tempo per una sgambata di salute con gli schizzinosissimi scums, bastò una semplice telefonata ai sudditi, pardòn, agli amici del minuscolo club del Rotherham United e il fastidioso pacchetto proveniente dai Caraibi venne in tutta fretta sbolognato!
Uno dei motivi fu, incredibile a dirsi, il suo cognome: goater, in inglese, significa pastore di capre e vi lascio immaginare l’immenso imbarazzo con cui poteva essere ascoltato, da quei ricconi imborghesiti che frequentavano l’Old Trafford, uno speaker che pronunciasse quelle due sillabe, per di più nel cockney chiuso e quasi incomprensibile in voga dalle loro parti!
Pur non dotato da madre natura di un fisico perfetto, anche perché vissuto in condizioni terribili (talvolta saltava il pasto per due o tre giorni di fila da ragazzo!), il giovane Goater non battè ciglio al rifiuto di Sir Alex di tenerlo con sè e, piano piano, risalì la china dell’Olimpo calcistico inglese.
Si ritrovò, nove anni dopo, a giocare per noi grazie al fiuto di un nostro grande e indimenticabile manager, Joe Royle, che lo scovò nel Bristol City. Era il marzo del 1997. La folla del Maine Road, costretta dalla scarsità di mezzi finanziari a sobbarcarsi una serie infinita di retrocessioni e promozioni, dapprima fu scettica. Poi si appassionò di gara in gara per questo atleta dalla testa piccolissima ma dalle lunghe leve che, se messe in moto da qualche buon lancio dei vari Kinkladze e Ben Arbia, garantivano gol a raffica. “Feed the Goat!” fu il canto che accompagnò segnature a volte memorabili ed è anche il titolo della sua bella biografia, pubblicata da Sutton Publishing Ltd.
Indimenticabile fu il derby, l’ultimo disputato nel nostro glorioso impianto di Maine Road, vinto 3-1 con gol iniziale bello e rapinoso di Anelka e due portentose segnature di Goater.
The Goat, come si dice in gergo calcistico, diede la paga quel giorno e successivamente anche al ritorno all’Old Trafford (gol del pareggio al 91°, che goduria!) al pluriblasonato capitano dei rags Gary Neville.
Quest’ultimo visse un pomeriggio da incubo, durante la gara e dopo nello spogliatoio della squadra ospite dove testimoni oculari presenti quel giorno raccontano di urla raccapriccianti, nei suoi confronti, del baronetto collezionista di cavalli da corsa di Aberdeen.
Leonardo Shaun Goater è ancora oggi un idolo dei Citizens e segue da vicino iniziative umanitarie volte a migliorare la qualità di vita, tuttora non eccelsa, del popolo della sua stupenda isola nei Caraibi. La sua rivincita verso il cosiddetto grande club dei dintorni di Manchester, ormai, è storia!
Quest’ultimo visse un pomeriggio da incubo, durante la gara e dopo nello spogliatoio della squadra ospite dove testimoni oculari presenti quel giorno raccontano di urla raccapriccianti, nei suoi confronti, del baronetto collezionista di cavalli da corsa di Aberdeen.
Leonardo Shaun Goater è ancora oggi un idolo dei Citizens e segue da vicino iniziative umanitarie volte a migliorare la qualità di vita, tuttora non eccelsa, del popolo della sua stupenda isola nei Caraibi. La sua rivincita verso il cosiddetto grande club dei dintorni di Manchester, ormai, è storia!
1 commento:
Grande Goater.... Ho ancora registrato quel derby... quando sono triste me lo guardo, e per un pò passa tutto!
Forza Ragazzi...
Bellissimo il Blog complimenti!
Ghino.
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