E’ un sabato pomeriggio di Premier come tanti a Manchester. Alcuni tifosi degli Sky Blues mettono in scena l’orgoglio per le proprie radici all’uscita della tribuna centrale del City of Manchester Stadium.
La meravigliosa e immaginifica astronave, costruita in occasione dei Giochi del Commonwealth nel 2002, è da un paio d’anni ormai la nuova casa del City sostituendo, fra mille proteste dei fans più affezionati, il glorioso tempio calcistico del Main Road.
Escono a frotte, mischiati gli uni agli altri, giocatori, membri dei board e staff tecnici dei due club che si sono appena affrontati. Qualche ragazzino, accompagnato dai genitori, li ferma per una foto e un autografo e loro, con gran professionalità, si concedono con ampi sorrisi.
Accanto a me assistono indifferenti a questo assalto della folla uomini e donne dai 50 anni in su. Loro attendono, pazienti, che esca da un momento all’altro uno degli eroi del City vincente a cavallo fra gli Anni Sessanta e Settanta.
Quel City, frutto di limitate risorse economiche e del genio manageriale di Malcolm Allison e Joe Mercier, loro ce l’hanno ancora scritto in faccia! E’ il City che fece piangere una generazione di cugini rags condannandoli ad un’umiliante retrocessione in 1st Division con un 1-0 firmato di tacco a 5 minuti dalla fine da Dennis Law in un celebre e mai dimenticato derby all’Old Trafford. In mezzo alla piega ironica di bocche abituate a dialogare nelle lunghe sere trascorse al pub sotto casa, nei loro capelli argentati e ribelli, nello sguardo fiero sempre in bilico fra malinconia e speranza: questi tifosi esprimono alla perfezione l’appartenenza al loro club povero di trofei ma ricco di umanità come nessun altro, almeno a mio modesto parere!
“He’s coming!” grida al mio fianco uno di loro e mi indica un distinto signore di mezz’età, sorridente e impettito come solo un vero british delle Eastlands sa essere.
Mike Summerbee, detto “Buzzer” per via della sua grande foga agonistica, è stato ala destra e centravanti in quel mitico City. Ora accoglie felice l’abbraccio dei suoi vecchi e affezionatissimi fans proprio mentre passano lì vicino, totalmente ignorati, i giovani Michael Johnson e Nedum Onohua.
Due gemellini biondissimi, avranno sì e no sei o sette anni, lo acclamano avvolti nelle nuove tee shirts societarie. I loro genitori li guardano, un po’ in disparte, tenendosi teneramente per mano. Mike è sinceramente sorpreso dall’entusiasmo sincero dei due simpatici bocia.
Domanda perché: e loro, belli come il sole di questa inattesa Mancunian Summer di metà ottobre, gli mostrano una foto di Pelè alias Fernandez mentre compie la celebre rovesciata tratta dal film “Fuga per la vittoria”.
Mike allora sghignazza e firma con questa dedica speciale: “Dall’autore per caso del cross più importante fatto al più grande campione di sempre”.
Mexico 1970, quarto di finale Brasile-Inghilterra: lì si affrontarono per la prima e unica volta in una gara ufficiale Summerbee e Pelè in una sfida epica che ebbe, fra i suoi spettatori, il futuro regista di quel film John Houston.
Fra strette di mano, auguri sinceri, altri autografi e foto Mike s’allontana verso l’auto del figlio non prima di aver abbracciato e baciato i due gemellini biondi: lasciando a me, tifoso italiano così poco abituato a questo clima di festa dopo una partita di calcio inglese, l’immagine di un grande uomo di sport.
La meravigliosa e immaginifica astronave, costruita in occasione dei Giochi del Commonwealth nel 2002, è da un paio d’anni ormai la nuova casa del City sostituendo, fra mille proteste dei fans più affezionati, il glorioso tempio calcistico del Main Road.
Escono a frotte, mischiati gli uni agli altri, giocatori, membri dei board e staff tecnici dei due club che si sono appena affrontati. Qualche ragazzino, accompagnato dai genitori, li ferma per una foto e un autografo e loro, con gran professionalità, si concedono con ampi sorrisi.
Accanto a me assistono indifferenti a questo assalto della folla uomini e donne dai 50 anni in su. Loro attendono, pazienti, che esca da un momento all’altro uno degli eroi del City vincente a cavallo fra gli Anni Sessanta e Settanta.
Quel City, frutto di limitate risorse economiche e del genio manageriale di Malcolm Allison e Joe Mercier, loro ce l’hanno ancora scritto in faccia! E’ il City che fece piangere una generazione di cugini rags condannandoli ad un’umiliante retrocessione in 1st Division con un 1-0 firmato di tacco a 5 minuti dalla fine da Dennis Law in un celebre e mai dimenticato derby all’Old Trafford. In mezzo alla piega ironica di bocche abituate a dialogare nelle lunghe sere trascorse al pub sotto casa, nei loro capelli argentati e ribelli, nello sguardo fiero sempre in bilico fra malinconia e speranza: questi tifosi esprimono alla perfezione l’appartenenza al loro club povero di trofei ma ricco di umanità come nessun altro, almeno a mio modesto parere!
“He’s coming!” grida al mio fianco uno di loro e mi indica un distinto signore di mezz’età, sorridente e impettito come solo un vero british delle Eastlands sa essere.
Mike Summerbee, detto “Buzzer” per via della sua grande foga agonistica, è stato ala destra e centravanti in quel mitico City. Ora accoglie felice l’abbraccio dei suoi vecchi e affezionatissimi fans proprio mentre passano lì vicino, totalmente ignorati, i giovani Michael Johnson e Nedum Onohua.
Due gemellini biondissimi, avranno sì e no sei o sette anni, lo acclamano avvolti nelle nuove tee shirts societarie. I loro genitori li guardano, un po’ in disparte, tenendosi teneramente per mano. Mike è sinceramente sorpreso dall’entusiasmo sincero dei due simpatici bocia.
Domanda perché: e loro, belli come il sole di questa inattesa Mancunian Summer di metà ottobre, gli mostrano una foto di Pelè alias Fernandez mentre compie la celebre rovesciata tratta dal film “Fuga per la vittoria”.
Mike allora sghignazza e firma con questa dedica speciale: “Dall’autore per caso del cross più importante fatto al più grande campione di sempre”.
Mexico 1970, quarto di finale Brasile-Inghilterra: lì si affrontarono per la prima e unica volta in una gara ufficiale Summerbee e Pelè in una sfida epica che ebbe, fra i suoi spettatori, il futuro regista di quel film John Houston.
Fra strette di mano, auguri sinceri, altri autografi e foto Mike s’allontana verso l’auto del figlio non prima di aver abbracciato e baciato i due gemellini biondi: lasciando a me, tifoso italiano così poco abituato a questo clima di festa dopo una partita di calcio inglese, l’immagine di un grande uomo di sport.
1 commento:
E' SEMPRE BELLO LEGGERE I TUOI RACCONTI COSI' CARICHI DI SUGGESTIONE E PASSIONE PER IL NOSTRO CITY.
italian job
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